DEVID BISCONTINI / FALSO TROMPE-L'OEIL. Giuliano Serafini
Nella sua storia secolare, la pittura si è servita di una tecnologia rimasta invariata fino agli inizi del XX secolo: pigmenti di terre e minerali colorati in polvere, diluiti e impastati, secondo gli stili e le scuole del tempo, con uovo, acqua e olio.
Si dovrà arrivare appunto alle avanguardie del primo Novecento, con dadaismo, cubismo e surrealismo, perché il canonico colore da tavolozza subisca un'eclissi importante, a vantaggio di "ingredienti" spurii, clamorosamente extrapittorici.
Chiara contestazione dell'"Arte dei Musei" che avrebbe deviato la creatività umana su percorsi incompatibili con i progressi della scienze positive.
Senza tener conto che, da pratica squisitamente intuitiva che mai potrà flirtare con la scienza, o almeno con la sua finalità che in primis è conoscitiva - l'arte progredisce a modo suo.
Che poi è un solo modo possibile: rinascere a ogni artista, secondo lo slogan-profezia di Théophile Gautier.
E in questa rinascita strumenti e media contano, e come.
Se il proto-surrealista Schwitters incollava sui suoi quadri biglietti di tram, piume e biglie di vetro, Fautrier, e si è già in area d'informale materico, "gonfiava" la superficie pittorica con materiale cartaceo prefigurando molteplici alternative all'artista.
Burri sarà l'uomo del destino, venuto a legittimare la sacralità esistenziale della materia diventata protagonista in arte, e più specificamente in pittura.
E siamo a Devid Biscontini, artista che sulla materia ha parecchie cose da dire e allo stesso tempo da sconfessare. Innanzitutto perché è esclusivamente con la materia che deve vedersela, nel caso - e sta qui l'altra sua “esclusività” – con il film plastico colorato (o polietilene) selezionato, elaborato e plasmato con cannello a fiamma libera e phon ad alta temperatura. La sua “tavolozza”, lo chiama.
In altre parole la pittura di Biscontini nasce da un'unica e totale accettazione del medium operativo. La plastica sembra rispondergli e corrispondergli per una sorta di affinità sensitiva, di identificazione assoluta. Come dire: non avrai altro materiale al di fuori di me.
Da dichiarazione autografa, per dipingere, Biscontini non riesce nemmeno a ipotizzare l'uso di colori "veri”. La sua pittura, con tutte le prerogative cromatiche, compositive e gestuali di cui ogni pittura dispone, scaturisce per procura del suo DNA artificiale. Nessuna intrusione dall'esterno potrà prendere il sopravvento su quel materiale inorganico e sommamente industriale.
Una coerenza ostinata, certamente, tanto coraggiosa quanto solitaria. Ma Biscontini sa che fare arte è anche una scommessa di moralità. E non è poco.
Pittura, si è detto, e a tutti gli effetti. Chi guarda potrebbe non sapere, né accorgersi dell'anomalia della sua genesi, di quella diversità impercettibile e pur effettiva, reale, che ha richiesto una sperimentazione specifica, sicuramente lunga e complessa, obbligando l'artista a inusuali ritmi e modalità d'intervento, accelerando e dilatando i tempi della sua azione, da potenziale alchimista.
E a questo punto viene da chiedersi se quello che Biscontini ci sta proponendo non sia che una sorta di illusionistica "replica" di genere, una virtuosistica elaborazione mimetica che punti sul trompe-l'oeil e in esso esaurisca finalità e poetica. Insomma, una prova di abilità.
Si tratterebbe allora, per dirla con Platone, dell'imitazione di una imitazione, quando quest'ultima sia identificabile con l'arte stessa. Ma è proprio qui che Biscontini esercita la "sconfessione" di cui dicevo. Nel senso che ci fa capire che non esistono limiti, tabù e preclusioni all'arbitrio dell'artista: che decidere per un materiale o un altro è irrilevante, che si può fare arte con tutto. Paradossalmente demistifica quella stessa materia che fa l'essenza della sua pittura. E soprattutto ci chiarisce che se di trompe-l'oeil si sarà sospettato, di un falso trompe-l'oeil si tratta. Tanto può l'arte nelle sue infinite ambiguità.
La citazione del pittore "alchimista" non è gratuita, quando si pensi che il processo esecutivo di Biscontini non è altro che una trasformazione, una mutazione di stato del materiale assunto. A operare la metamorfosi generatrice di forma, e dunque di pittura, sarà solo la fiamma e il flusso di calore emesso dallo strumento che "sanno" fin dove possono spingersi e intervenire perché quella forma si manifesti come l'artista ha voluto. La minima incertezza e il minimo errore potrebbero compromettere irrimediabilmente l'esito, e sarà impossibile tornare indietro.
Biscontini sa di lavorare sul limite tra necessità e caso, che il rischio è nel conto, come nel conto c'è certamente la sfida.
E qualcuno deve avergli detto che in arte bisogna “soffrire”.
Il procedimento si svolge per stratificazione di film di diverso colore, una pellicola sull'altra in modo che la fiamma possa agire a livello "sottocutaneo", lacerando o fondendo tra loro i fogli sovrapposti. La plastica cauterizzata apre così buchi, fenditure e strappi scoprendo il colore sottostante; o si rapprende in magma minerale su una superficie che diventa "luogo" fenomenico di forte impatto visivo. La materia inerte e amorfa rivendica insomma energie segrete e impensabili, sceglie di esistere ed è decisa a sorprenderci.
Tanto sensuale vitalismo non può comunque permettere a Biscontini di riflettere e orientarsi su un percorso che porti allo stile, alla griffe , e lì in qualche modo concludersi. I debiti culturali, risaputi o inconsci, si fanno sentire. Tra astrattismo, espressionismo e spazialismo, l'artista sfiora solo quello che può contribuire a dare più intensità iconica al suo lavoro, il resto lo lascia alla storia dell'arte.
E chiaro che ci troviamo in un'area operativa decisamente istintuale e che l'artista dovrà fare qualche concessione al suo furor creativo, pena la messa in corto circuito delle sue stesse risorse.
Per ora è la fase per così dire “romantica" che sta attraversando, là dove anche gli eccessi hanno diritto d'asilo. A prevalere è la testarda determinazione a investire in primissima persona su una scelta, ripeto, solitaria e di complessa collocazione esegetica.
Di qui la libertà estrema che questa irresponsabilità rispetto al sistema arte gli permette. Ne deriva un'iconosfera dove sarà un'impresa riscontrare predilezioni di forma. Notiamo piuttosto una sorta di spericolata anarchia inventiva: profili nervosi e curvilinei che si richiudono su campiture di colore puro a forte contrasto cromatico, costellazioni di segni biomorfici, arabeschi e ghirigori in eccitata, orbitale evoluzione: ma anche improbabili e congestionate geometrie rettilinee che si attraggono ed esplodono in un intrico di diagonali incrociate. Tutto si esibisce al nostro sguardo come una provocazione, come uno shock retinico. La materia sembra non conoscere confini, prende la mano al pittore, irresistibilmente.
Biscontini dipinge e “gioca”, sapendo che il suo è il più bel gioco e il più serio che gli sia dato da sperimentare.
Perché non se ne potrà mai immaginare né realizzare la fine.
Come hai scoperto la tua passione per l’arte?
Direi che mi ha interessato e appassionato fin da piccolo: l’idea di plasmare la materia è sempre stata molto familiare per me. Crescendo ho iniziato ad esplorare e lavorare con materiali diversi, ed ho intrapreso uno studio e ricerca personali, non guidati da ambienti accademici. Contestualmente di tanto in tanto realizzavo qualcosa con quello che mi capitava, ma non c’era in quel momento la ricerca di un confronto con l’esterno che invece è arrivata da qualche anno a questa parte quando ho trovato quello che chiamo “il mio materiale”: la plastica.
Ci sono stati momenti o persone particolari che hanno influenzato il tuo percorso?
Credo che ciò che più ha influenzato il mio percorso, personale dapprima e di conseguenza quello artistico, siano i miei affetti più intimi, un’altra spinta importante la ha esercitata il rapporto con la Teoria della Nascita dello psichiatra Massimo Fagioli con la quale sono venuto in contatto seppur indirettamente, e che mi ha fornito una grande quantità di stimoli, a partire dalla visione dell’essere umano, della donna, dell’arte, del ruolo degli artisti. C’è poi il confronto con artisti più rodati di me, con critici d’arte e curatori, che hanno allargato i miei orizzonti, fornendomi spunti di riflessione nuovi, suggestioni, apprezzamenti, critiche.
Ci sono temi o concetti ricorrenti che esplori attraverso la tua arte?
Direi di sì, la prima cosa è l’utilizzo di un materiale inusuale: mi sono trovato spessissimo a dover spiegare che l’effetto che ottengo, pittorico per così dire, deriva dalla lavorazione diretta, con il cannello a fiamma libera ed il phon ad altissima temperatura di materiale plastico; cerco cioè di trasformare questo materiale in pittura e scultura. C’è poi il discorso del colore: quasi sempre, ricorro all’utilizzo dei colori primari e di forti contrasti; o delle dimensioni: tutti i miei quadri sono di forma quadrata, ma sono tutte scelte fatte “di pancia”, in maniera immediata, non saprei darne una spiegazione.
Cosa ti ispira maggiormente?
Il rapporto con gli altri.
Come pensi che il contesto culturale e sociale in cui vivi influenzi il tuo lavoro artistico?
Non mi definirei un artista politico, ma credo che l’ambiente che mi circonda influenzi la mia persona ed i miei pensieri, e questo in qualche modo dovrebbe poi riflettersi in quello che faccio.
Puoi raccontarci di un progetto o di un’opera a cui tieni particolarmente e spiegarci il motivo?
In questo momento senza dubbio la prossima partecipazione a Milano Scultura 2024. Presenterò quattro sculture che nascono da una personale reinterpretazione di quattro immagini femminili appartenenti a diverse tradizioni, nell’intento di raccontare la forza e bellezza delle donne. Ci sono poi altri appuntamenti e progetti a breve e medio termine, ma potremo parlarne più avanti.
In che modo l’interazione con il pubblico influisce sulla tua pratica artistica?
Sento che ogni occasione di confronto non solo mi arricchisce a livello personale e umano, ma anche mi spinge a continuare a fare, a cercare qualcosa di nuovo. Ciò che più mi gratifica è riuscire a cogliere (quando e se ci riesco) la sorpresa della scoperta negli occhi di chi osserva dal vivo quello che realizzo …giocare con chi guarda a richiamare uno stupore bambino è la soddisfazione più grande, e nessun bimbo ha voglia di smettere di giocare.
Ti capita di modificare il tuo lavoro in risposta ai feedback che ricevi?
Direi che piuttosto mi capita di interpretare i feedback per una crescita artistica, ma non che questo possa riflettersi in una modificazione d’emblée del mio lavoro, o sarei un mero esecutore.
Cosa pensi della commercializzazione dell’arte contemporanea?
Se si esclude il rischio di banalizzazione e mistificazione di cui a volte l’arte contemporanea mi pare essere vittima, il fatto che ci sia una commercializzazione “popolare” della stessa potrebbe rappresentare anche un’opportunità sia per chi fa arte di arrivare a più persone, sia per il pubblico di fruirne. Personalmente ho avuto molte occasioni di confronto con addetti ai lavori e richieste di collaborazione tramite la mia pagina instagram (devid.artplast); si stabiliscono così due possibili canali di comunicazione, quello mediato dall’opera, e quello diretto.
Pensi che possa compromettere l’integrità dell’opera o la sua funzione critica?
Credo che il rischio che la possibilità di un riscontro economico incida sull’integrità ed “innocenza” dell’artista stesso, sia un rischio concreto, se non si ha di che vivere, ed anche per questo non rinuncio al mio lavoro più “convenzionale”, è una questione di libertà.